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Titor

Ascolta l’intervista dell’Urban The Best:

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“Ogni cosa  possibile può succedere o succederà.”
Succede allora che i quattro brani dell’esordio, nel Novembre 2011, insieme ad altri cinque (compresa una pazzesca cover del mitico Ivan Graziani), vengano ri-registrati da TITOR con l’ausilio  dall’abile e saggio sound engineer,  Gianni Condina (Subsonica, Assalti Frontali, Velvet, fra le sue diverse produzioni…). La produzione artistica dell’album è stata invece intrapresa da  Davide “AntiAnti” Pavanello, attento e bravissimo  a saper valorizzare gli arrangiamenti ed il “senso” del sound e dell’attitudine di TITOR, dando fiducia ed attenzione ai valori della band.  La produzione e promozione dell’album è stata quindi affidata a INRI (www.inritorino.com)etichetta torinese, gestita e coordinata da  Paolo Pavanello e Davide Pavanello (già fondatori dell’agenzia Metatron, nonchè rispettivamente chitarrista e bassista dei  Linea 77).
La band TITOR nasce in occidente, nel nord-ovest della penisola italica alla fine del primo decennio degli “anni zero” e ha l’intenzione e l’urgenza di raccontare, con slancio sofferto ma anche con la lucidità di suggestivi “consigli”, l’opportunità di non “lasciarsi vivere” addosso il peso dei “non-valori” della società globale. Su queste basi viene realizzato  ROCK IS BACK: 9 brani di puro impatto sonoro e comunicazione/provocazione culturale. Attraverso un climax concettuale narrato con il  linguaggio abrasivo della musica rock elettrificata, tendenzialmente violenta e allo stesso tempo potente e nervosamente rumorosa e veloce, e partendo da una struggente e consapevole matrice culturale “hardcore/punk”,  viene cantata la disperata e visionaria immagine di vari “spaccati” del nostro presente storico.

“Dal 2036” si sono potute intravedere una serie di possibilità e “non possibilità” per l’uomo (post)moderno. Molte di esse possono essere percorribili sapendo che le scelte del nostro  vivere quotidiano  possono incidere sui percorsi dell’intera umanità. “L’ultimo atto” in realtà è solo il capitolo iniziale, per cominciare a percorrere quello che può rivelarsi un definitivo ed oscuro “Calvario”, attraverso il quale la solitudine degli uomini si tramuta in amore vissuto come arma “contropotere”. “Bisogna sapere perdere…” cantava qualcuno.“Duel” è anche il titolo di un noto film di Steven Spielberg… ma il conflitto fra  “l’uomo e la macchina” ha, nella società industriale e nell’epoca del digitale, un suo insolubile destino da compiere.

Saranno le nostre “Generazioni” che non hanno più età, ma spesso accomunate da un concetto di “dolore” che non sa avere più tempo né spazio per potersi contenere, a voler cercare di valicare le barricate sociali e i confini convenzionali, con pochi soldi in tasca e con velocità talvolta autodistruttiva. Essa è la “rabbia da ingoiare”, insieme al sangue, dopo un pericoloso e nichilistico viaggio in “Motocross”, in cui la vita mostra quanto sa essere spietata e disperata. Pertanto è tutto da raccontare:  “Quello che non sai” è ciò che nessuno di noi sa, nessuno escluso, nessuno incluso. Titor ha viaggiato nel tempo, ma vuole spingersi più in là.  Ciò che ha osservato è quindi ciò che ha il dovere di raccontare: probabilmente “noi siamo”, ma forse “noi non siamo nulla”.  

Il paradosso finale: la libertà di vivere il presente probabilmente sta nel sapere cogliere le testimonianze di quanto il futuro ha saputo conservare nel nostro passato. E’ applicazione qui e ora, della responsabilità del nostro agire. Solamente “Ricordando domani” possiamo avere la memoria di oggi. In ogni caso, anche se probabilmente “Titor is dead” tutto questo è solo rock’n’roll o, come piace affermare alla band, “Grande Rock”.
Fatene buon uso.



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